DOVE SBAGLIA ADRIANO



Dove sbaglia Adriano

di Michele Brambilla, La Stampa – 20 febbraio 2012

Se è vero che il Festival di Sanremo è una spia degli umori degli italiani, proviamo a vedere se il
«caso Celentano» ha qualcosa da dirci.
Come mai l’ex ragazzo della via Gluck è stato tanto criticato? Non solo dai giornali, ma anche dal
pubblico: non si era mai vista all’Ariston una contestazione in diretta come quella dell’altra sera: e
chi continua a pensare che si sia trattato di una gazzarra organizzata, non ha capito o peggio non
vuol capire (torneremo tra poco sul punto). Dicevamo: come mai tante reazioni negative?
Nei contenuti Celentano ha preso un paio di stecche anche pesanti - gli insulti ad Aldo Grasso e
l’invocata chiusura di due giornali ma ha anche lanciato spunti tutt’altro che trascurabili. Quando
dice che oggi, nella predicazione del clero, sono quasi scomparsi quelli che una volta si chiamavano
«i Novissimi» (morte, giudizio, inferno e paradiso) Celentano ha perfettamente ragione: chiunque
abbia frequentazione domenicale con la messa lo sa benissimo; chi legge le prolusioni della Cei
ahimè lo sa ancor meglio. Quando poi dice che dobbiamo essere felici di essere nati perché abbiamo
un destino di vita eterna, ci dice l’unica cosa di cui in fondo ciascuno di noi ha davvero bisogno, e
che è l’essenza di quel Vangelo (che significa: «buona notizia») che i cristiani annunciano da
duemila anni.
Celentano avrebbe dovuto dunque appassionare, commuovere, o almeno incuriosire. E invece, ha
diviso, urtato, irritato. Non è scaturito, dalle sue parole, un dibattito sul mistero della vita e della
morte, sul dilemma tra speranza e disperazione: ma molto più miseramente un polpettone sugli
equilibri interni della Rai. Perché?
Perché Celentano ha dimostrato di essere legato a uno schema vecchio, quello secondo cui per
proporre bisogna opporre; per parlare di una cosa buona, bisogna mostrarne una cattiva che tende a
soverchiare, a soffocare. La sua è la retorica della denuncia, dell’indignazione, dei buoni contro i
cattivi, del potere che è sempre marcio. Così si è subito creato un  nemico da attaccare. Torno a
quanto dicevo prima sulla contestazione: non credo che fosse organizzata, perché quando Celentano
è comparso sul palco nessuno lo ha fischiato; poi ha cantato ed è stato applaudito; poi si è messo a
parlare della vita eterna e tutti ascoltavano in un (è il caso di dirlo) religioso silenzio. È stato quando
ha ri-tirato in ballo Avvenire e Famiglia Cristiana che dal pubblico è partito un collettivo
«baaaasta!» che non poteva certo essere preparato. Basta, non ne possiamo più di queste polemiche.
Posso fare un esempio concreto? Quando Roberto Benigni ha portato in tv - anche all’interno di
spettacoli «leggeri» - la Divina Commedia, e quindi gli stessi temi del paradiso e dell’eternità, ha
infiammato, emozionato, coinvolto anche persone che ostentano agnosticismo se non ateismo. La
differenza è che Benigni ha portato in televisione la Bellezza, Celentano la solita logora logica della
rissa e della polemica.
Celentano farebbe bene a riflettere sul risultato che ha ottenuto, e che è l’opposto di quello che si
prefiggeva. Sbaglia se dà la colpa alla «corporazione dei giornalisti». Ma lui ragiona così, vede un
mondo che è governato solo (sottolineiamo il «solo», altrimenti non ci capiamo) da corporazioni,
poteri forti, mercanti della guerra, inquinatori, speculazioni edilizie, corruzioni e così via. Non è che
tutto questo non ci sia, anzi: c’è eccome. Ma l’Italia e probabilmente il mondo intero oggi - arrivati
al fondo di una crisi che non è solo economica, ma è soprattutto morale - hanno bisogno di non
piangersi più addosso; hanno bisogno di girare pagina, di trovare motivi di speranza, di qualcuno
che indichi non solo il lordume ma anche la pulizia.
Perché c’è anche quella, la pulizia: e non è un caso se l’Ariston e credo tutti gli spettatori in tv
hanno applaudito Geppi Cucciari quando ha indicato tra le donne da seguire come esempio quella
nostra connazionale che fa la volontaria fra gli ultimi del mondo.
E forse non è un caso neppure se a vincere il festival sia stata una canzone che ci dice che sì, c’è la
crisi, ma questo non è l’inferno e non bisogna morire ma guardare avanti.

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