MORALE SESSUALE E FAMILIARE





MORALE SESSUALE E FAMILIARE


(Pedron Lino)

1 - IL SIGNIFICATO DI UNA DOMANDA

Che male c’è?

Questa domanda spesso ha il significato di una contestazione. A prima vista sembra domandare le ragioni di un insegnamento morale. Spesso però è una domanda retorica. In realtà è un’affermazione che vuol dire: in questo non ci vedo niente di male, non faccio male a nessuno, queste cose non sono peccato.

E l’affermazione sottintende tutto un mondo di convinzioni più generali, come per esempio questa: ciò che è bene o male in campo morale non può essere determinato o deciso autoritariamente, ma deve essere dimostrato, deve convincere. Si può dire che un certo comportamento è peccaminoso o proibito solo se appare chiaramente negativo, sbagliato, ingiusto, dannoso.

E ancora: il compito di questa determinazione tocca alla coscienza personale di ognuno e non può essere delegato a nessun altro; nessuno può decidere per un altro che cosa sia il bene o il male, che cosa sia peccato o non lo sia.

Dunque in questa domanda: "Che male c’è?" spesso affiora una malcelata insubordinazione o addirittura un atteggiamento chiaramente irritato e ostile nei confronti dell’insegnamento morale della Chiesa.

Comunque stiano le cose, questa domanda è legittima e ha diritto ad una risposta convincente. Molte volte dietro la domanda: "Che male c’è?" si nasconde un’idea sbagliata del bene e del male, frutto di una cattiva formazione o di un insufficiente approfondimento del problema.

Spesso la stessa domanda viene posta in termini ancora più imprecisi. Invece di dire: "Che male c’è?", si dice: "Perché è proibito?".



Perché è proibito?

Nel campo della sessualità si dice: "Perché è proibita la masturbazione? Perché devono essere proibiti i rapporti prematrimoniali? Perché la Chiesa proibisce certi mezzi per la regolazione delle nascite?".

Formulate così, queste domande sono male impostate, non sono poste nei termini giusti. Fanno pensare alla morale come a un codice di proibizioni, magari arbitrarie o riformabilissime. "Perché è proibito?" significa in pratica: "Ma chi lo proibisce?".

Chi proibisce sarebbe naturalmente Dio o addirittura la Chiesa. In questo modo l’impegno morale si ridurrebbe a un atto di sottomissione a Dio, a un atto di obbedienza cieca, profondamente ripugnante ad ogni uomo, giustamente fiero della sua dignità di essere libero e intelligente. La prima cosa da fare di fronte a tutte queste domande è quella di chiarire i termini: che cosa vuol dire male, proibito, peccato...



Il progetto di Dio

Il Dio che si è rivelato in Cristo come Padre ci chiama al compito di amministratori responsabili del mondo e della storia, anzi ci eleva alla dignità di figli nella sua casa, e quindi a un impegno morale assolutamente libero da ogni servilismo alienante, pieno di dignità e di ragionevolezza.

Certo, nella morale cristiana ci sono anche delle proibizioni, ma esse non contengono nulla di arbitrario: non sono un’imposizione, ma un appello alla ragione. Non si impongono con l’autorità di una volontà padrona, ma con l’autorevolezza di una sapienza superiore e piena di amore.

Questa sapienza amorosa di Dio ci aiuta a scoprire il progetto dello sviluppo armonico della nostra persona iscritto nel nostro stesso essere, ma non sempre facilmente decifrabile dalla nostra intelligenza limitata e oscurata dal peccato.

Sotto l’apparenza della proibizione si nasconde in realtà un avvertimento premuroso o una valutazione oggettiva che chiede di essere ragionata e capita.



È in questione la nostra felicità

L’uomo è la realizzazione di un progetto d’amore di Dio. Un progetto ben fatto ha una sua logica interna, delle linee di sviluppo armoniose e sagge.

Ma il "progetto uomo" è radicalmente diverso da ogni altro progetto creato. Esso è uscito dalle mani di Dio appena abbozzato. La sua realizzazione finale è affidata all’uomo stesso, alle sue libere scelte. Ogni uomo, sia pure in collaborazione con Dio e con gli altri uomini, è chiamato così ad essere, almeno in parte, il creatore di se stesso.

Abbiamo detto creatore, non esecutore. Ed essere creatore è molto di più che essere semplice esecutore. L’uomo è chiamato ad essere autore, insieme con Dio e con gli altri, del suo progetto di vita. La sua vita esce dalla sua intelligenza e dalla sua libertà: è lui che la inventa e la realizza. Ma ci sono delle linee della sua autorealizzazione che non dipendono da lui, che sono sottratte alla sua creatività, che sono già decise dal fatto di essere uomo e non un’altra creatura, di essere uomo così come è uscito dalle mani di Dio. Ci sono cose che lo realizzano e cose che (lo voglia o no) lo distruggono come uomo e gli impediscono di diventare se stesso, di realizzare il progetto di amore di Dio che c’è in lui.

Così, la verità lo fa più uomo, la menzogna meno uomo; l’amore lo realizza e l’egoismo gli impedisce di realizzarsi. Ci sono dei progetti attraverso i quali si costruisce come uomo, e ce ne sono di quelli attraverso i quali si distrugge. E il realizzarsi o meno non è cosa indifferente, non è un lusso inutile. Solo nella realizzazione di sé l’uomo trova la sua vera felicità. Solo raggiungendo la vera pienezza del suo essere egli trova quella pace e quella gioia per cui è fatto e a cui aspira con tutte le sue forze.

Ne va quindi della sua felicità. E il comandamento di Dio è lì per avvertirlo. Ne va della sua riuscita come uomo. Il comandamento di Dio non dice soltanto: questo è bene, questo è male. Dice: questo ti realizza e questo ti distrugge come uomo. Certe scelte ti realizzano, altre ti impoveriscono e ti degradano.

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