Il Signore insegna a Santa Caterina da Siena: Le opere di bene fatte senza la grazia, non valgono per la vita eterna

Mali che procedono dalla cecità dell'occhio dell'intelletto: come i beni, che non sono fatti in stato di grazia, non valgono per la vita eterna.



Dice Gesù: "Ti ho detto quanto sopra, affinché tu conosca meglio in quale modo gli altri gustano il saggio dell'inferno; e di essi ti ho raccontato l'inganno. Ora ti dirò donde procede il loro inganno, e come ricevono la caparra dell'inferno.

Questo avviene, perché hanno l'occhio dell'intelletto accecato dall'infedeltà, originata dall'amor proprio. Come ogni verità s'acquista col lume della fede, così la bugia e l'inganno s'acquistano con l'infedeltà. Parlo dell'infedeltà di quelli, che hanno ricevuto il santo Battesimo, nel quale fu messa la pupilla della fede dentro l'occhio dell'intelletto. Venuto il tempo della discrezione, se si esercitano nella virtù, conservano il lume della fede e partoriscono le virtù vive, recando frutto al loro prossimo.
Come la donna fa il figliolo vivo, e vivo lo dà al suo sposo, così essi danno le virtù vive a me, che sono sposo dell'anima.

Questi miserabili, fanno il contrario. Viene il tempo della discrezione, per esercitare il lume della fede e partorire con vita di grazia le virtù; essi invece le partoriscono morte. Sono morte, come sono morte tutte le loro operazioni, essendo fatte in peccato mortale, mentre sono privi del lume della fede. Hanno ancora la forma del santo Battesimo, ma non il lume, perché ne sono privati dalla nuvola della colpa, commessa per l'amor proprio, la quale ha ricoperto la pupilla con cui vedevano.
(n.b. Col peccato mortale non si perde la fede, infusa nel santo Battesimo, benché questa fede sì dica e sia morta, perché priva della carità, che è l'anima della vita soprannaturale)

A costoro, che hanno fede senza le opere, è detto che la loro fede è morta.

Come il morto non vede, così l'occhio dell'intelletto, quando la pupilla è coperta nel modo che ti ho detto, non conosce la sua nullità, né i difetti che ha commessi, né la bontà mia dentro di sé, dalla quale ha ricevuto l'essere e tutte le grazie annesse.

Non conoscendo me, né se stesso, non odia la sua sensualità, anzi l'ama cercando di soddisfare il suo appetito; così partorisce i figli morti, cioè i molti peccati mortali. Non ama me; e non amando me, non ama quello che io amo, cioè il suo prossimo; né si diletta di praticare quello che mi piace, cioè le vere e reali virtù. A me piace di vedere queste virtù in voi, non per mia utilità, poiché voi non potete recare utilità alcuna a me: «lo sono colui che sono»; veruna cosa è fatta senza di me, fuorché il peccato. Esso non è che un nulla, ma priva l'anima di me, che sono sommo bene, togliendole la grazia. Mi piacciono però le virtù per la vostra utilità, affinché io abbia di che rimunerarvi con me, che sono la vita eterna.

Così tu vedi come la fede di costoro sia morta, perché è senza opere, e quelle che fanno non valgono per la vita eterna, poiché non hanno la vita della grazia. Nondimeno non si deve tralasciare di bene operare, con grazia o senza grazia, perché ogni bene è rimunerato, come ogni colpa è punita. Il bene che si fa in grazia, senza peccato mortale, vale a vita eterna; quello che si fa in istato di peccato mortale non vale a vita eterna; tuttavia è rimunerato in vari modi, come ti ho detto sopra. Talvolta io presto a questi ultimi il tempo; oppure li metto nel cuore dei miei servi che mi offrono continue orazioni, affinché escano dalla colpa e dalle loro miserie. Altre volte non ricevono il dono di ulteriore tempo, aggiunto alla loro vita, né l'effetto delle orazioni, ma vengono ricompensati in cose temporali: allora succede loro come all'animale, che si ingrassa per menarlo al macello.

Questi tali hanno sempre recalcitrato in tutti i modi contro la mia bontà, e tuttavia a volte fanno qualche bene, sebbene non in stato di grazia, ma di peccato. Nell'opera buona non hanno voluto profittare del tempo per convertirsi, né delle orazioni dei miei servi, né degli altri modi diversi, coi quali li ho chiamati; perciò sono da me riprovati per i loro difetti. Ma la mia bontà vuole pure ricompensare quell'opera buona, cioè quel poco di servizio che hanno fatto; allora li rimunero nelle cose temporali, e in esse ingrassano; ma non correggendosi, giungono al supplizio eterno.

Vedi dunque come si ingannano! Chi li ha ingannati? Loro stessi, perché si sono tolti il lume della fede viva, e vanno avanti come accecati, palpando e attaccandosi a quello che toccano. E siccome non vedono che con l'occhio cieco ed hanno posto l'affetto nelle cose transitorie, perciò restano ingannati, e fanno come gli stolti, che guardano solo all'oro [dello scorpione] e non al veleno.

Sappi dunque che le cose del mondo, tutti i diletti e piaceri suoi, essi se li sono presi, acquistati e posseduti, senza di me, col disordinato amor proprio. Essi rappresentano giustamente la figura degli scorpioni, della quale figura ti parlai da principio, dopo quella dell'albero, quando ti dissi che portano l'oro sul davanti e il veleno dietro. Non è il veleno senza l'oro, né l'oro senza il veleno; ma il primo a vedersi è l'oro, cosicché nessuno si difende dal veleno se non chi è illuminato dal lume della fede.

tratto dal Dialogo della Divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena

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