Padre Guglielmo Alimonti. IO FACCIO PARTE





IO FACCIO PARTE

Eravamo a duemila metri di altitudine, nel tratto del Focalone.
Mancavano ancora ottocento metri per arrivare alla cima del Monte Amaro, vetta della Maiella.
Camminavamo da cinque ore, ne occorrevano altre due.
La carovana era formata da otto persone, non tutte giovanissime, ma tutte allenate ad escursioni del genere ed esperte delle nostre montagne.
Dopo una chiacchierata d'approccio si era entrati in un attento silenzio.
Ma lì il silenzio della città, quello che si alterna al chiasso, non esiste.
Almeno di notte il cielo stellato e il sentiero per lo più accidentato ti impegna in un colloquio personale, originale, fecondo e piacevole con la natura.
Ognuno ne dà prova raccontando nei giorni successivi.
È interessante e perfino divertente constatare come, persone che hanno fatto lo stesso percorso, sembra che abbiano visto mondi diversi.
Io ero molto attratto dal continuo cambiare di tipo di vegetazione: dall'erba alta del piano alle pinete arrampicate nei dorsi rocciosi, dagli alti abeti delle vallate un po' riparate, ai robusti faggi disseminati dovunque, almeno fino ai milleottocento metri, e infine dalla fitta boscaglia dei tenaci e profumati pini nani, quasi sempre carichi di pinoli e squame con cui la pianta si difende dal freddo, dal vento e dalle gelate invernali.
Ancora più su incontri solo ciuffi di verde, che oltre a stemperare l'aspetto arido delle rocce, offre in rari casi un debole appiglio per avanzare.
Questo gesto esige esperienza e cautela se no scivoli a valle insieme all'erba.
Al contrario, sostegno generalmente sicuro, sono gli spuntoni di roccia, che affiorano sempre un po' dovunque.
Mi incantavo a guardare nel cielo la processione interminabile di stelle, chiare e scintillanti; sembravano divertirsi nella loro disordinata geometria.
A quell'altitudine non le vedi più attaccate l'una all'altra come uno strato di foglie sull'orlo del burrone, ma come lucciole dentro lo spazio infinito.
Più frequente e incuriosito mi correva lo sguardo verso l'orizzonte Orientale.
La prima luce ad apparire era il chiarore dell'alba, che lentamente si innalzava, si spandeva e si ispessiva.
Poi quasi rapidamente si tirava dietro una immensa luce color d'oro. L'aurora dava l'impressione di un grosso gigante, che sorrideva mentre si svegliava.
Era come se avesse un segreto da raccontare ad ognuno.
Infatti stranamente a quell'ora sentivi la voglia di dire qualcosa a chi ti precedeva o ti seguiva.
Lassù i sentieri sono stretti ed obbligano a camminare in fila indiana. Occorre fare attenzione per non mettere il piede avanti prima che chi ti precede abbia tolto il suo.
La minima distrazione può provocare incidenti pericolosi.
Fino all'alba il buio della notte ti consente di vedere, magari al riflesso della luna, cime lontane meglio del paesaggio che ti circonda.
Di conseguenza, si è portati ad aguzzare l'udito.
L'udito è una scorta preziosa capace anche di sopperire all'impossibilità di vedere. Oserei dire che lì devi vedere con l'orecchio.
Ogni voce ed ogni rumore di animali, uccelli compresi, ti può dare il quadro della situazione.
Camminare in silenzio è molto importante. Ti permette di costituirti sorpresa invece che cadere nelle sorprese.
Io ritrovo quest'atteggiamento nelle persone che praticano la caccia.
O zitti o la preda se la sognano.
Quando il sole taglia l'orizzonte la città a valle rimette in moto le sue attività.
Pochi sono i suoni che arrivano distinti: le campane o la sirena di qualche grossa azienda.
Ogni altro suono arriva confuso ed ovattato, simile al rumore di una cascata lontana.
Viene da pensare che tutto il correre e l'affannarsi della gente, tutte le regole di vita degli uomini, quasi addossati gli uni agli altri, somigliano all'arrampicarsi di una massa di fumo, che fugge dal basso per disperdersi nel nulla.
Tuttavia non è possibile che tanta gente spenda la vita al segno dell'illusione.
C'è rischio che chiunque e dovunque sia, in città, in montagna o in mezzo all'oceano, possa essere divorato dall'illusione e vedere ridotta all'insignificanza la propria esistenza?
Importante è non permettere a nulla e a nessuno ridurti schiavo in un serraglio umano e che, tu innanzitutto, non ti rendi schiavo di te stesso, ossia di quella parte di te che nessuno ti può rubare e che tuttavia nemmeno appartiene esclusivamente al tuo volere.
Prima che la società e prima che la volontà, c'è un mistero dentro la tua vita che ti sospinge.
Questa è la domanda che nasce dentro di me e sento che la risposta totale e definitiva è fuori di me.
Senza turbarmi concludo che la vita appartiene a me per decidere, ma non del tutto per realizzarla.
Per essere liberato dalla limitata luce della ragione, spezzando l'assedio di tutti gli errori e di tutte le paure, mi occorre chi mi dia le risposte che cerco, le forze che non ho, e la garanzia che la tragedia della morte non possa privarmi della libertà, che vale quanto me stesso, e di una eternità il cui pensiero mi assilla.
Io faccio parte della città assediata.

P. G. Alimonti OFM cap, Città assediata, inedita

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