L’incerta origine della «festa degli innamorati»



San Valentino, il rito inventato per i «lunatici» di febbraio.
Il san Valen­tino festeg­giato oggi, quello degli inna­mo­rati, è il frutto di una (con)fusione avve­nuta attra­verso i secoli di cre­denze e riti riguar­danti santi dallo stesso nome. Prin­ci­pal­mente due, o tre: il pre­sbi­tero mar­tire di Roma, quello di Terni (ricor­dati oggi) e il vescovo di Pas­sau (il 7 gen­naio). Il primo in realtà fu «santo» nel senso di bene­fat­tore, per­ché fece eri­gere una basi­lica sulla Fla­mi­nia con fondi suoi. Oltre quest’opera meri­to­ria, non sap­piamo molto di lui. L’altro, quello di Terni, fu un mar­tire sepolto sem­pre sulla Fla­mi­nia, nei paraggi della città omo­nima. Una pas­sio ante­riore all’VIII secolo rac­conta che guarì da artrosi il figlio di un certo Cra­tone ma in seguito, non volendo abiu­rare la sua fede in Cri­sto, fu decapitato.Il terzo Valen­tino, la cui vita è meglio docu­men­tata, operò a Pas­sau (al con­fine tra Ger­ma­nia e Austria) e fu patrono degli epi­let­tici. La sua ico­no­gra­fia in genere lo mostra con un ragazzo che giace al suo fianco, caduto a causa dell’epilessia (o di uno dei tanti mali psi­chia­trici con i quali veniva con­fusa), nel medioevo chia­mata «mal caduco» e cadu­ca­rii coloro che ne erano affetti, appunto dal sin­tomo più ecla­tante. Veniva anche chia­mato «male di san Donato» o «di san Gio­vanni»: entrambi deca­pi­tati ed entrambi pro­tet­tori dal male, insieme ai Re Magi, che «si pro­stra­rono» (cad­dero) davanti alla grep­pia di Gesù. Altri nomi pote­vano essere «mal d’Avertin» o «d’Esvertin», dal latino ver­tigo, o «luna­tici», da luna, per­ché – soste­neva Giu­lio Fir­mico Materno (IV secolo) – «rende le per­sone … sog­gette ad epilessia».Que­sto Valen­tino veniva spesso con­fuso con quello di Terni: quindi gli attri­buti dell’uno pas­sa­rono all’altro, come spesso anche la data della ricor­renza. Quindi anche l’antico patro­nato epi­let­tico, altri­menti detto «male comi­ziale», dal fatto che all’apparire di una sua mani­fe­sta­zione ogni comi­zio veniva sciolto, avendo gli dèi mani­fe­stato la loro volontà con­tra­ria.
Sull’origine di que­sto pro­tet­to­rato resta di qual­che valore l’antica ipo­tesi di Mar­tin Lutero riguardo l’assonanza tra il nome del santo, Valen­tins e il sin­tomo della «caduta», che nella sua lin­gua si dice fal­len, cadere, e fall­su­cht il male, cioè «cer­care la caduta». Così come san Bia­gio, festeg­giato qual­che set­ti­mana fa, è pro­tet­tore della gola e del respiro (anche) per l’assimilazione fone­tica tra bla­sen, in tede­sco «sof­fiare», e il suo nome.San Valen­tino con­ti­nua sem­pre a pro­teg­gere gli affetti da epi­les­sia: nel Veneto, a Mon­se­lice (Padova), cen­ti­naia di amo­re­voli madri vanno oggi in pel­le­gri­nag­gio alle cie­séte, le Sette Chiese, per­ché i loro bam­bini pos­sano baciare la reli­quia di san Valen­tino e met­tersi al collo una pic­cola chiave, la ciave de San Valen­tin, che cure­rebbe l’epilessia. Un tempo, secondo la tra­di­zione rac­colta dallo scom­parso Dino Col­tro, la chiave tera­peu­tica doveva essere acqui­stata con i soldi «fati de carità da 33 done mari­dade, un soldo a testa». Simil­mente un’antica cre­denza inglese voleva che al collo si por­tasse una col­lana fatta da un fab­bro non spo­sato con l’argento di trenta monete da sei pence, chie­ste la dome­nica davanti a una chiesa ad altret­tanti uomini, anch’essi non sposati.Attual­mente però il nostro santo è il «santo degli inna­mo­rati», che forse solo con una for­za­tura potremmo defi­nire «luna­tici». Ma la spie­ga­zione di que­sto patro­nato è com­plessa e riguarda anche la cir­co­la­zione di un certo tipo di let­te­ra­tura popo­lare «minore».
Geof­frey Chau­cer, padre della let­te­ra­tura inglese, nel suo Il par­la­mento degli uccelli (ca. 1382) accenna al fatto che nel giorno di san Valen­tino «ogni uccello sce­glie la sua com­pa­gna». Ora qui non è impor­tante se la tra­di­zione l’abbia inven­tata Chau­cer o l’abbia presa dalla tra­di­zione popo­lare, fatto sta che da allora pro­li­fe­re­ranno, nella tra­di­zione franco-inglese, brevi com­po­ni­menti let­te­rari di carat­tere «amo­roso» (ron­deau, bal­late e simili), che can­ta­vano l’amore e soprat­tutto l’amata, spesso chia­mata «Valen­tina», che diventa così nome comune. Ana­lo­ga­mente in Ger­ma­nia tro­viamo le Freund­schaf­tskar­ten, pegni d’amore e d’amicizia in rima su car­ton­cini deco­rati. Entrambe le forme let­te­ra­rie popo­lari segui­rono nel XIX secolo gli emi­granti in Ame­rica, per poi ritor­nare, com­mer­cia­liz­zata, da noi il secolo seguente, come Hal­lo­ween, Santa Claus e altri santi e riti «inventati».Ma Valen­tino non avrebbe avuto tanto suc­cesso se non fos­sero stati pre­senti, in Ita­lia, ana­lo­ghe usanze e rituali, magari rimossi o dimen­ti­cati, dedi­cati all’«amore»: non è feb­braio il mese che la ricerca sto­rica ed etno­gra­fica ci dicono essere il più ricco di matri­moni e di riti che creano nuove cop­pie? Come si diceva un tempo in Pie­monte, «Carvè ar va, Pasqua la ven! Chi ch’a s’è nent marià ist’ani as mariarrà ist’an ch’ven!»: Car­ne­vale va, Pasqua viene! chi non s’è spo­sato quest’anno, si spo­serà l’anno prossimo
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