Morire nel Signore.


MORIRE NEL SIGNORE


Come un cristiano affronta l’incontro
con sorella morte corporale
1. “Sorella morte corporale”
Così san Francesco d’Assisi chiamava la realtà drammatica e misteriosa della fine della vita terrena. Nel famosissimo “Cantico di frate sole” lodava il Signore per “sora morte corporale, dalla quale nullo homo po’ scampare” e continuava con una seria esortazione in cui, con la sua consueta semplice schiettezza, ammoniva sull’importanza decisiva di questo appuntamento, chiamando beati coloro che sarebbero stati colti da essa in grazia di Dio, poiché  ad essi non avrebbe potuto nuocere la “seconda morte” (come la chiama il libro dell’Apocalisse, con allusione alla “morte eterna” della dannazione: Ap 2,11; 20,6.14; 21,8) e comminando un severo “guai” a coloro che la morte avrebbe sorpreso in stato di peccato mortale, avvertendo che la terribile, inesorabile e tremenda conseguenza di ciò sarebbe stata l’eterna dannazione. Il serafico padre, patrono d’Italia, sempre parlando di questa realtà, ammoniva del fatto che nessuna ricchezza al mondo è in grado di corrompere sorella morte e che l’uomo si scrive da sé, giorno per giorno, la sua futura sorte nell’eternità: “per molto in alto andare, molto in basso bisogna stare e per tanto possedere (in cielo) niente al mondo bisogna avere”, facendo in questo modo eco alle antiche sentenze del suo e nostro Maestro Gesù: “gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi” (Mt 19,30); “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima?” (Mc 8,36).

2. La morte nel nostro contesto storico-culturale
Non è necessario essere esperti in scienze sociologiche o indagini demoscopiche per rendersi conto che la nostra cultura, dinanzi alla morte, ha un unico e praticamente universale atteggiamento: non pensarci, fare finta che non ci sia, illudersi che non arriverà mai, cercare di esorcizzarla il più possibile negandone l’inesorabile incalzare con ogni espediente possibile. La morte è sempre un evento che riguarda “gli altri”, anche quando bussa molto vicina, colpendo un familiare o un parente stretto; e spesso si pensa, talora in buona fede, di fare opera di carità nei confronti di un malato grave, nascondendogli la verità della sua prossima fine, ingannandolo con lusinghe di improbabili guarigioni, risparmiandogli la paura di vedere un prete “perché altrimenti si impressiona e capisce che è la fine”. Purtroppo, a livello pastorale, si registrano atteggiamenti di questo genere anche tra i fedeli. Nelle Parrocchie, infatti, su cento funerali celebrati, nemmeno il 10% dei defunti, mediamente, ha ricevuto i sacramenti e sacramentali riservati ai moribondi (confessione, unzione, viatico e raccomandazione dell’anima a Dio). Con il serissimo rischio, stante la situazione attuale di molti fedeli che purtroppo vivono normalmente lontani dalla pratica sacramentale, che qualcuno di questi nostri cari fratelli e sorelle arrivi impreparato all’incontro con il Signore Gesù, che al momento della morte ci viene incontro non più come Salvatore misericordioso, ma come Giudice delle nostre azioni compiute durante il pellegrinaggio terreno. È necessario dunque tornare ad affrontare questo che è “il problema dei problemi” con uno spirito di vera e autentica fede, consapevoli del fatto che sorella morte è l’unico evento futuro e certo, quello che, per essere ben vissuto, maggiormente richiede una preparazione (remota e prossima) e che purtroppo è quello a cui meno volentieri si pensa, di cui poco ci si preoccupa, che molto si sottovaluta pur essendo decisivo per la sorte eterna delle nostre anime (e, dopo la risurrezione della carne, anche dei nostri corpi).

3. “Memento mori”
Questa espressione (che tradotta significa: “ricordati che devi morire”) oggi susciterebbe molte reazioni apotropaiche. Eppure con essa iniziavano le prediche di molti santi di qualche lustro fa e costituiva anche la forma con cui ci si salutava in alcune congregazioni religiose. Questo perché, per affrontare bene sorella morte, la prima cosa da fare (da quando si acquista l’uso della ragione) è pensarci: non con l’angoscia dei pagani che vivono senza speranza, ma come il termine della vita terrena, che è il tempo che Dio dà a ciascuno, su questa terra, per compiere la missione che gli affida ed acquistare meriti per la vita eterna. Il cristianesimo, infatti, annuncia fondamentalmente la redenzione operata da Cristo dal peccato, male dell’anima che ha trascinato nella sua rovina il corpo (“la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo”, si legge nel libro della Sapienza, 2,24) e quindi propone come obiettivo principale della propria e altrui esistenza, come fine ultimo della vita terrena, la salvezza dell’anima. San Pietro, scrive limpidamente nella sua prima lettera: “Voi amate Gesù, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime” (1Pt 1,8-9).
C’è dunque anzitutto una preparazione remota da compiere per arrivare pronti all’appuntamento con sorella morte ed è vivere in grazia di Dio, facendo la volontà di Dio, osservando i suoi comandamenti, compiendo bene i nostri doveri, dedicando tempo alla preghiera, compiendo quante più buone opere possiamo e riusciamo. Questo, peraltro, deve essere anche  l’obiettivo principale di genitori ed educatori: insegnare ai nostri ragazzi che la vita è un viaggio verso l’eternità, che ha un momento di passaggio decisivo al termine della vita terrena: lì finisce il tempo per meritare e quello per rimettere a posto la coscienza con Dio, se si hanno debiti con la sua volontà e la sua giustizia. Tutto questo senza alcuna angoscia, senza alcun patema, senza alcuna ansia o disperazione, ma nella serena fiducia che Gesù ha vinto la morte, ci vuole con Sé in Paradiso, ma non ci può portare contro la nostra libera volontà: siamo dunque noi, in realtà, gli artefici della nostra sorte eterna poiché “si muore come si vive”, nel senso che siamo noi a scrivere con le nostre opere l’esito ultraterreno della nostra esistenza dopo il passaggio della morte. Oltre alla preparazione remota, tuttavia, c’è anche (ed è quanto mai necessaria) la preparazione prossima a questo appuntamento decisivo. Ora, mentre la preparazione remota, in ultima analisi, dipende da noi e dalla nostra libera volontà, la preparazione prossima può dipendere, in larga percentuale, dai familiari e da coloro che assistono i malati ed i moribondi. E qui è necessario precisare alcuni comportamenti fondamentali da tenere, precisando che Dio chiederà gravissimo conto a chiunque si distaccasse da essi, rischiando in questo modo di divenire, indirettamente, la causa dell’eterna dannazione di un’anima.
Anzitutto c’è un vero diritto di sapere che sorella morte sta arrivando. Un malato ha il sacrosanto diritto di essere informato del fatto che la vita terrena potrebbe essere giunta al capolinea. Il falso pietismo di molti (lo si ripeta, spesso in buona fede ed influenzato dalla nostra cultura attuale che cerca di esorcizzare la morte, ma non per questo meno grave e dannoso) può mettere a repentaglio la salvezza eterna del malato, che potrebbe avere dei peccati gravi da confessare, potrebbe darsi che da anni non abbia messo piede in Chiesa, che da tempo immemorabile non riceva più la comunione, che abbia bisogno di una parola di conforto che solo un sacerdote sa e può dare in quei momenti. La seconda cosa da fare, se si vede che ciò non parte dalla volontà del malato, è esortarlo, con dolcezza e carità ma anche con santa risolutezza, a mettere l’anima in pace con Dio, cioè ad accettare che si chiami un sacerdote per amministrargli i sacramenti per disporsi ad una morte santa. La terza, se il malato continua a non voler ricevere i conforti dei sacramenti, è pregare e far pregare per questa intenzione ed avvertire il Parroco, perché preghi anch’egli per questa sua pecorella e perché valuti con la famiglia se è possibile fare qualcosa per persuadere il malato a ricorrere al suo aiuto. Bisogna quindi chiamare il sacerdote, a qualunque ora del giorno o della notte. I sacramenti in punto di morte, infatti, non conoscono “orari”: una volta, sui citofoni delle canoniche c’erano due campanelli: uno per il giorno ed uno per la notte, situato sopra il letto del prete e che tutti sapevano di poter suonare anche a notte inoltrata, dato che sorella morte è un po’ maleducata: si presenta a tutte le ore, non chiede permesso ed a volte fa presto a compiere il suo lavoro di falciare lo stelo dell’umana esistenza… Si tenga presente che i sacramenti da offrire al malato in fin di vita sono di un’importanza capitale: se il malato è in grado, si può confessare, pulendo la propria anima dalle macchie che le impedirebbero l’accesso alla salvezza; altrimenti è il sacramento dell’unzione a conferire la remissione delle colpe di cui il malato, se avesse avuto modo, si sarebbe confessato. Nel rito è previsto il conferimento dell’indulgenza plenaria “in articulo mortis”, che ogni sacerdote ha la facoltà, dalla Sede apostolica, di impartire ai moribondi, ovvero la remissione di tutte le pene dovute per i peccati. C’è inoltre il santo viatico, ovvero l’ultima comunione sacramentale da ricevere sulla terra, prima di vedere a faccia a faccia Colui che si nasconde dietro le specie eucaristiche. C’è infine “l’ordo commendationis animae” (rito per la raccomandazione dell’anima), ovvero una serie di preghiere di raccomandazione dell’anima del defunto a Dio, molto belle ed indulgenziate, più ricche nella forma rituale antica, che ogni sacerdote può adoperare grazie all’autorizzazione data da Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum. Si pensi, alla luce di queste brevi considerazioni, di quali e quanti beni vengono privati i moribondi dalla falsa carità di quei familiari che sono preoccupati solo di risparmiargli il “trauma della vista del prete”. Questo comportamento costituisce un peccato gravissimo di omissione, di cui Dio non mancherà di chiedere conto ai responsabili.

4. Le esequie, i suffragi, le visite al cimitero
Al momento della morte (quando il Parroco viene avvisato, perché ai nostri tempi, purtroppo questo non sempre accade), si dà l’annuncio della morte con il suono delle campane. Questo gesto, assai significativo, non è un semplice “avvertire che è morto qualcuno”, ma è un invito alla comunità perché preghi per un suo fratello che il Signore ha chiamato da questa vita: al suono delle campane a morto, si prenda l’impegno di recitare un’Ave Maria ed un Eterno riposo. Se tutti facessero questo, già il defunto si troverebbe pieno di suffragi al cospetto del Padre. Al suono segue la benedizione della salma nella casa del defunto. Questa pratica, per la verità, è ancora molto diffusa: quasi tutti “chiamano il prete a benedire” (tanto ormai il malato è morto e non si impressiona), ritenendo, erroneamente, che questo gesto possa giovare al defunto quasi in modo magico. In realtà questo gesto è molto meno importante dei precedenti e serve più per i familiari che per il defunto, la cui anima, ormai, non è più nel corpo divenuto cadavere. Si badi dunque a chiamare il prete prima e non soltanto dopo il sopravvenire della morte. Le esequie sono il momento del congedo terreno dall’anima del defunto, la prima santa Messa che viene applicata in suo suffragio. I suffragi sono i regali più grandi che si possono fare ai defunti (molto più dei fiori…) e consistono in opere sante (Messe, preghiere ed opere buone), di cui si applica il merito satisfattorio al defunto a sconto dei peccati che gli restano da purificare. Nulla più della santa Messa giova a questo; per cui il regalo più grande da fare ai defunti, è far celebrare delle sante Messe e partecipare, comunque, al maggior numero di Messe possibile, offrendole in suffragio della sua anima. Immediatamente dopo la santa Messa viene la santa comunione, per ricevere la quale, però, bisogna essere in grazia di Dio, altrimenti essa non fa bene né all’anima del defunto né all’anima di chi la riceve. Anche in occasione del funerale di un proprio caro, se si è coscienti di non essere in grazia di Dio o del fatto che da molto non ci si confessa bisogna assolutamente astenersi dal fare la comunione, riservandosi di farla dopo aver fatto una buona confessione. Vengono, poi, come suffragi la preghiera, soprattutto il Santo Rosario e l’Eterno riposo. Una pratica devozionale molto utile ai defunti è la recita della corona dei 100 Requiem (consistente nel recitare cento Eterno riposo in suffragio del defunto). Infine vengono le opere di carità, anch’esse applicabili come suffragi. Quando si legge nelle epigrafi “non fiori ma opere di bene”, si allude a questo: fare elemosine anziché sprecar soldi in fiori perché possano essere applicate in suffragio dei defunti.
Qualche ultima considerazione sulla visita al cimitero. La Chiesa ha sempre incoraggiato e raccomandato la visita delle salme dei propri cari al cimitero, purché si faccia con la coscienza di essere luoghi dove riposano le spoglie mortali dei nostri cari in attesa della risurrezione. Anche nella visita al Cimitero, prima ancora che i fiori, giova ai defunti la nostra preghiera ed anche lasciare accesi dei ceri (di cera vera, non i lumini elettrici) possibilmente benedetti davanti alle tombe dei defunti. Giova anche alle loro anime far benedire la tomba e aspergerla (o, preferibilmente farla aspergere da un sacerdote) con l’acqua benedetta.
Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

Commenti

Post popolari in questo blog

PREGHIERA DI LIBERAZIONE

SONO DANNATA!

E’ la notte dei Sacri Cuori di Gesù e Maria. Recita questa grande preghiera di guarigione e liberazione